La vegetazione
I boschi
Il Parco Lura è coperto per la metà della sua superficie da boschi e aree ad evoluzione spontanea; la rimanente parte è agricola; non vi sono aree "naturali" nel senso stretto del termine, in quanto ovunque l'attività dell'uomo ha condizionato e condiziona l'ambiente e il paesaggio. Vi sono però aree dove l'ambiente si trasforma e si rinnova in base a processi spontanei frutto del contesto nel quale si collocano e delle attività che l'uomo produce. Il bosco, per esempio, è soggetto a tagli periodici, dette ceduazioni, che ne alterano l'aspetto con frequenza.
Se si risale il fiume da Lainate fino a Bulgarograsso, ci si rende conto di come il fiume incida maggiormente il paesaggio verso monte piuttosto che verso la pianura. Infatti nelle aree più prossime alla metropoli i suo ambiente ripariale è ridotto a pochi metri attorno alle sue sponde; il fiume si muove, spesso fra argini artificiali, quasi come un intruso fra campagne, stabilimenti e periferia urbana. Nell'area di Lainate e Caronno si possono osservare esclusivamente alcune lineari siepi disposte lungo il ciglio d'alveo, formate soprattutto da robinie (Robinia pseudoacacia), sambuchi (Sambucus nigra) e altri arbusti alcuni dei quali d'origine non locale (alloctona), come il ciliegio tardivo (Prunus serotina), la zucca spinosa (Sylcios angulatus), la budleja (Buddleja davidii), o, più raramente, l'ailanto (Ailanthus altissima). L'incavo vallivo comincia ad accennarsi sopra a Saronno per accentuarsi progressivamente da Rovellasca veso nord. Tra Caslino e Bulgorello assume la dimensione di un piccolo canyon verde di suggestiva bellezza. In questa parte, la valle è formata in prevalenza da boschi di robinia con sporadiche farnie (Quercus rubur), aceri (Acer sp.), querce rosse nordamericane (Quercus rubra), olmi (Ulmus sp.), sambuchi, noccioli (Corylus avellana), biancospini (Crataegus monogyna). Oltre Cadorago il fiume si muove fra le colline dell'anfiteatro morenico più esterno, per aprirsi in un'ampia conca verso Bulgarograsso e poi Lurate Caccivio. In questa parte le formazioni boschive sono più estese e più ricche di biodiversità, con molte specie locali ben rappresentate: querce (farnie), betulle (Betula sp.), pini silvestri (Pinus sylvestris), castagni (Cstanea sativa), noccioli. A Guanzate una intera collina è coperta da un impianto di querce rosse nordamericane, i cui polloni si espandano a spese del bosco locale; nella pineta vi sono alcune presenze di larici del giappone (Larix kaempferi), probabilmente impiantati a scopo ornamentale o produttivo. Nelle colline fra Bulgarograsso e Cassina Rizzardi, fino alla frazione di Ronco Vecchio, maggiore è la presenza di farnia. Nei paraggi c'è anche un bosco sperimentale e didattico di gelso (Morus sp.), che la Provincia di Como ha allestito per mantenere un impianto divulgativo della bachicoltura per perpetuare nel tempo la tradizione della seta: un tempo caratterizzava tutta l'economia della zona. Si tratta, probabilmente, dell'ultimo impianto superstite di una produzione ormai scomparsa nel nostro territorio, anche se la cultura del tessile è ancora fortemente radicata e, sebbene vittima della fortissima concorrenza orientale, ancora presente quale capisaldo imprenditoriale comasco.
Come noto, la Robinia è esotica. Probabilmente le doti ornamentali di alcune forme di robinia sono il motivo della sua diffusione in Europa; pare che vi sia giunta all'inizio del secolo XVII inviata a Jean Robin, erborista del re Enrico IV di Francia. In Italia apparve verso la fine del secolo XVIII; dimostratasi subito vigorosa e di facile adattamento a diverse condizioni climatiche, venne presto impiegata negli usi forestali, per rinforzare i pendii, arricchire e consolidare il suolo. La sua invadenza ha preso rapidamente il sopravvento sull'ambiente locale e sulle specie autoctone, sostituendosi ad esse nelle siepi e soprattutto nei margini boschivi; in alcuni casi ha formato veri e propri boschi uniformi. La robinia è un eccellente legno per paleria o da ardere e viene solitamente governata a ceduo: le ceppaie vengono tagliate con frequenza utilizzando i polloni di 10-20 centimetri di diametro. La pianta ricaccia immediatamente e il bosco si continua a rinnovare con questa specie esclusiva; laddove non interviene il boscaiolo, la robinia cresce e va a maturazione per formare una fustaia e a termine del ciclo vegetativo lascia lo spazio alla rinnovazione spontanea delle specie locali, come le querce, le betulle, i carpini bianchi (Carpinus betulus). La presenza massiccia di questa specie non preoccupa il tecnico forestale, poiché, seppure invadente, è un'eccellente specie pioniera, forte, robusta e capace di aumentare la biomassa complessiva, necessaria per la generazione di bosco maturo di latifoglie autoctone sia grazie all'azione di fissazione dell'azoto, sia concorrendo alla formazione di un buon terriccio con il deposito delle proprie foglie che si decompongono rapidamente. Inoltre, con il proprio robusto apparato radicale, si presta ad essere usata in qualità di pianta pioniera e consolidatrice dei terreni franosi. Altresì si è rivelata in grado di offrire un'interessante fonte di reddito per il legno che offre. Il legname della robinia è duro, di lunga durata, resistente alla rottura, elastico, ben lavorabile e poco soggetto alle alterazioni. Sarebbe utile, viceversa, poter controllare meglio le attività di taglio, al fine di favorire la conversione dei cedui a fustaie. Tutti i boschi del parco risalendo fino a Cadorago sono dominati dalla robinia; ma all'interno della valle più incavata, fra Lomazzo, Caslino e Bulgorello vi sono notevoli fustaie con presenza non marginale anche di farnie. Un'altra dote della robinia è la qualità e il profumo intenso delle sue infiorescenze, che attraggono miriadi di api e quindi favoriscono la produzione del cosiddetto miele di acacia, delizioso per aroma e profumo.
Dove la specie ha sostituito le essenze forestali autoctone, il sottobosco è in prevalenza composto da poche specie floristiche. Quando, invece, il robinieto si installa su terreni incolti o comunque privi di copertura forestale, più o meno degradati, il sottobosco risulta essere occupato da specie nitrofile (amanti dei terreni ricchi di nutrienti azotati) e sinantropiche (legate agli ambienti umani), per lo più esotiche, di infimo valore naturalistico, quali la fitolacca (Phytolacca americana), la solidaggine (Solidago virga aurea), Pioggia d'oro (Solidago gigantea) e la falsa fragola (Duchesnea indica). Nelle zone più umide la copertura arbustiva può essere arricchita dalla presenza del sambuco nero. Per lunghi tratti del torrente, la fascia di vegetazione perifluviale è costituita da sottili addensamenti di robinia, con spessori che vanno dall'albero singolo a poche decine di metri, che separano il letto del torrente da costruzioni, seminativi e prati.
La Farnia è la quercia più comune d'Europa, tipica del clima continentale, dove è in grado di crescere anche in dimensioni possenti. Oltre i Balcani e verso la regione del Danubio le foreste di farnia producono un fra i miglior legni da opera del nostro continente, cioè la "Rovere di Slavonia". La rovere (Quercus petraea) è una specie molto simile, del tutto sporadica nel parco del Lura. La differenza fra le due specie è notabile per le caratteristiche dell'ambiente e per la disposizione del frutto, la ghianda. La farnia predilige luoghi freschi e umidi e non soffre nemmeno parziali e sporadici allagamenti dovuti alle piogge intense o anche a spagliamento dei fiumi e formazione di foppe e stagni. La rovere viceversa ha esigenze opposte e pertanto è più facile osservarla in cima a dossi, in luoghi aperti e solatii. La ghianda della farnia è attaccata al ramo attraverso un lungo picciolo o peduncolo (da cui il nome scientifico), mentre la ghianda di rovere non ha alcun peduncolo. Va detto che le due specie tendono ad ibridarsi con frequenza, mettendo in difficoltà l'osservatore, talvolta anche quello esperto. Nel Parco del Lura forma pochi popolamenti consistenti, e comunque sempre in associazione alla robinia e al carpino; buone formazioni si possono osservare nei boschi di Cermenate, vicino al Roccolo, nella valle tra Caslino e Bulgorello e nei boschi di Guanzate Bulgarograsso. Si tratta di presenze che si sono conservate soprattutto per lo scarso prelievo forestale da parte di taluni proprietari. Dove i boscaioli perseverano nella ceduazione, l'immediata rigogliosa ripresa della robinia soffoca ogni rinnovazione della quercia. Sono pochi i luoghi dove cresce il Carpino bianco, specie autoctona insieme alla farnia che caratterizza il bosco "climax" del nostro paesaggio: cioè il bosco ecologicamente più maturo per assestamento e biodiversità verso cui l'ambiente tende ad evolversi. Il carpino è un piccolo albero dalla lenta crescita e dal tronco contorto, con piccole foglie frastagliate di un verde intenso inconfondibile. Ha due caratteristiche che ne hanno condizionato la diffusione e l'utilizzo umano. La prima è la sua resistenza infinita alla potatura anche spinta nelle forme e continuativa nel tempo, che la ha resa preziosa per la for-mazione delle siepi nei giardini all'italiana o alla francese; la seconda è l'emissione di una tossina nell'apparato radicale, che impedisce la ricrescita agli arbusti del sottobosco: dove c'è il carpino, il bosco è "pulito" e si vede lo spazio in profondità. Queste due caratteristiche hanno condizionato lo sviluppo delle "carpinate" ovve-ro delle siepi continue e compatte, a volte mo-dellate ad arte in tunnel verdi o in sagome scultoree nei giardini patrizi come lungo le strade e per la formazione dei roccoli . Nel Parco il popolamento più consistente di carpini è infatti attorno al roccolo di Cermenate.
Il Pino silvestre è la sola conifera spontanea e autoctona dei boschi nell'alta pianura. Il suo tronco è sottile e termina nella parte alta con una corteccia di colore rossiccio che ne aiuta il riconoscimento rispetto ad altri pini. E' presente nel Parco soprattutto a Guanzate, dove forma boschi di buona qualità in associazione alla quercia e al castagno che qui comincia a comparire con frequenza. Il Castagno probabilmente proviene dall'Asia Minore; da qui si sarebbe diffuso in Europa, in America ed in Estremo Oriente. In epoca storica il castagno è stato portato dai romani al di fuori del bacino Mediterraneo. Attualmente in Italia è una delle specie forestali maggiormente presente nelle diverse regioni, con particolare riferimento a quelle dell'Italia centrale. Il castagno ha rappresentato per lungo tempo la principale fonte di alimentazione delle popolazioni delle aree collinari e di media montagna, ma oggi la sua coltivazione è in forte declino, soprattutto a causa dei costi di raccolta. Nel parco la sua presenza è episodica, salvo nei boschi di Bulgaro e Guanzate dove un tempo doveva rappresentare una componente molto più massiccia. La Quercia rossa è una possente quercia di veloce crescita e notevole dimensione che è stata introdotta per la produzione di legname da opera e cellulosa, formando impianti compatti in diversi siti, il più esteso dei quali è una intera collina tra Guanzate e Bulgarograsso. E' anche questa una specie molto invadente e tende a diffondersi a spese delle specie locali, sicché attorno ad un impianto artificiale si possono osservare molte piante nate da inseminazione spontanea. Questa quercia ha una foglia facilmente distinguibile dalla farnia, poiché ha le terminazioni a punta, anziché rotonde e per il colore rosso intenso che assume in ottobre: in quel periodo il bosco di quercia rossa s'infiamma dipingendo il paesaggio con una suggestione particolare. Il suo valore è dato da questa peculiarità estetica e non dall'interesse forestale, tanto che è trattata alla stregua di altri invadenti come il ciliegio tardivo e ne è favorito il taglio a raso.
Il Ciliegio tardivo è un inquilino sgradito dei nostri boschi; la sua diffusione è relativamente recente e assai esuberante. Nel nord America forma boschi da opera d'eccellente qualità; da noi il tentativo di riprodurre le stesse condizioni ha sortito un effetto disastroso. Gli alberi non sono cresciuti nello stesso modo, ma, grazie alla appetibilità delle sue bacche, sono stati propagati rapidamente dagli uccelli che ne hanno favorito la diffusione; nel contempo la loro invadenza ambientale ha sottratto in molti boschi lo spazio alle specie locali, senza avere le buone caratteristiche della robinia. Il contenimento di questo infestante è divenuto quindi una fra le priorità del governo dei nostri boschi.
Nel Parco vi sono molte altre specie che compongono la sua biodiversità, molte autoctone: il salice bianco (Salix alba), il salicone (Salix caprea), il nocciolo, il biancospino, l'acero di monte (Acer pseudoplatanus) e la betulla, alcune esotiche e introdotte a scopo produttivo, come il pino strobo (Pinus strobus) e diverse specie di pioppo (Popolus sp.) da cellulosa. Alune altre piante sono state introdotte a scopo ornamentale, per formare filari. Tipici sono i filari di platani (Platanus sp.), tigli (Tilia sp.) e pioppi cipressini (Popolus nigra piramidalis) che disegnano la tenuta privata di cascina Bissago fra Lomazzo e Bregnano. Talvolta bastano pochi filari a comporre un paesaggio di notevole bellezza.Se l'uomo non avesse trasformato questo territorio, la zona del Lura sarebbe costituita da estese foreste a dominanza di rovere nelle porzioni più elevate, e, nella parte più umida dell'incisione del torrente, a prevalenza di farnia con l'accompagnamento di carpino bianco, frassino (Fraxinus sp.) e acero campestre (Acer campestre). Di fatto, la presenza dell'uomo ha pressoché eliminato la copertura forestale dalla pianura, sostituendola con aree urbanizzate, seminativi e prati; le superfici boscate superstiti sono state profondamente modificate, con l'introduzione di specie esotiche che, nel corso degli anni (o dei secoli) si sono diffuse notevolmente.
foglie di tiglio
in versione autunnale
(foto di Fabio Lopez)
bosco in autunno
(foto di PR Lura)
tronco di carpino bianco
(foto di PR Lura)
foglia di platano su una foppa gelata
(foto di Fabio Lopez)
Boschi del Roccolo
(foto di PR Lura)